Il periodo bellico del primo Novecento segnò una battuta d’arresto delle produzioni, anche per la carenza delle materie prime, come malto e luppolo, che dovevano essere necessariamente reperite dal mercato estero. Inoltre, alla ripresa seguita al termine del conflitto, le fabbriche attive erano solo una sessantina, ma la capacità produttiva superava il milione di ettolitri.
Un lento progresso
Il mercato assunse un trend di continua crescita: nel 1925, la produzione superò il milione e mezzo di ettolitri e l’importazione si attestò a circa 30.000 hL. La situazione di mercato consentì il rafforzamento di grandi realtà industriali, come la Wuhrer di Brescia, la Dreher di Trieste, la Paskowski di Firenze e Roma, le Birrerie Meridionali di Napoli di proprietà della famiglia Peroni, la Pedavena di Feltre, la Poretti di Iduno Olona, la Moretti di Udine e la Wunster di Bergamo.
La legge Marescalchi, emanata nel 1927 per ragioni di politica agricola, impose ai birrai l’impiego di una quantità minima del 15% di riso nella miscela dei cereali. Contemporaneamente vennero aumentate le imposte di produzione e venne regolamentata la vendita dietro apposita autorizzazione. Queste misure, a difesa del mercato del vino, portarono ad una esponenziale diminuzione delle vendite, a causa dell’inevitabile incremento dei prezzi al consumo.
Nel 1930 la produzione crollò a poco più di mezzo milione di ettolitri: molte fabbriche fallirono e le restanti 45 furono ridotte proporzionalmente. Nell’arco di alcuni anni, attraverso una azione concordata fra i più lungimiranti ed intraprendenti industriali birrari, si realizzò una riorganizzazione del mercato che consentì alle imprese sopravvissute di rafforzarsi e superare la crisi.
La Seconda Guerra mondiale e il Boom economico
Dopo una fase di lenta crescita delle produzioni, la Seconda Guerra Mondiale portò ad una nuova prolungata fase di arresto delle industrie birrarie. La ricostruzione e l’incipiente boom economico post-bellico diedero nuovo slancio al settore della birra, tanto che nel 1950 le produzioni ritornarono a superare 1,5 milioni di hL.
A partire dagli anni Sessanta, con lo sviluppo della moderna distribuzione organizzata e l’avvento della GDO, la birra diventò a tutti gli effetti un prodotto di uso comune. Nel 1975 la produzione si attestava ad otto milioni di ettolitri, con oltre 570.000 hL di importazione: il consumo pro-capite sfiorava i sedici litri. Il 1975 fu però un anno di svolta: infatti, il futuro fu segnato da una diminuzione di mercato di oltre il 20%, anche a causa di un considerevole aumento delle accise di produzione imposte dal Legislatore nazionale.
La fase di ripresa si fece attendere, ma seppur lenta, portò ad un nuovo record di consumi, pari a circa 28 litri pro-capite nel 2010.
I giorni nostri
I numeri parlano chiaro: se per la maggior parte dei beni di consumo continua lo stallo, per il mercato della birra è finalmente primavera e nel Bel Paese si torna a parlare di crescita.
Il consumo di birra in Italia nel 2016 ha segnato un +1,6%, raggiungendo 19 milioni di ettolitri a fronte dei 18,7 milioni del 2015. Parallelamente, cresce anche il consumo pro-capite, passando dai 30,8 litri per abitante nel 2015 a 31,5 nell’anno successivo, un dato importante che segna il valore più alto dalla crisi economica mondiale del 2008.
I numeri della birra “Made in Italy”
Con la crescita dei consumi della bevanda luppolata di conseguenza è aumentata anche la produzione. Un trend di crescita che si è confermato anche all’inizio del 2017, con un indice della produzione di birra aumentato di 3,5 punti rispetto allo stesso mese del 2016. Tutto ciò mentre in Italia la produzione industriale ha registrato il calo più elevato in Europa: -2,3%, contro +0,9% nella zona euro. Nella produzione di birra, tuttavia, l’Italia ha registrato tassi di crescita superiori alle altre nazioni segnando un aumento del 9,4% tra il 2010 e il 2015, seguita dalla Spagna con il 4,7%. Al contrario il Regno Unito e l’Olanda hanno visto una contrazione rispettivamente del 2,1% e dello 0,9%, mentre nello stesso periodo in Germania la produzione è stata pressoché stagnante (-0,1%). Il forte incremento degli indici di produzione e consumo di birra in Italia, però, va rapportato alla ridotta dimensione del mercato rispetto a quella dei maggiori Paesi europei. Quello italiano, infatti, è solamente il decimo in termini di produzione, mentre i consumi pro capite di birra italiani sono tra i più bassi in Europa assieme a quelli della Francia.